Biennale di Venezia 2017 – 57a edizione

Sono passati ben due anni dalla scorsa Biennale e faccio Mea Culpa in ginocchio sui ceci perché non ho pubblicato subito questo articolo. La 57° Biennale d’Arte di Venezia è stata fantastica e in più oltre a me e Carla c’era un ospite d’eccezione: mia cugina Laura! 😊 appassionata come noi di arte contemporanea e squisita compagna di avventure!

Prima di visitare Giardini ed Arsenale abbiamo esplorato un pò i padiglioni esterni: c’è piaciuto molto quello di Taiwan, vicino a San Marco, dove il giovane Tehching Hsieh in Doing Time realizza cinque distinte performance della durata di un anno. In una di queste vive come clochard nei dintorni di una grande metropoli e documenta a livello fotografico la sua vita giorno per giorno inserendo in una mappa tutti i suoi spostamenti all’interno della città. Qui alcune foto dell’esposizione e la nostra dedica nel book dell’artista.

La Repubblica dell’Azerbaigian presenta nel suo padiglione nazionale la mostra Under one Sun. The art of living Together In cui gli artisti, grazie a diversi media di comunicazione, parlano di coesistenza pacifica tra diverse culture e generazioni.

Il giorno seguente è stato interamente dedicato ai Giardini. Il tema di quest’anno era “Viva Arte Viva” la cui presentazione è la seguente: di fronte ai conflitti e agli stravolgimenti del mondo, l’arte oggi è testimone della parte più preziosa dell’essere umano, in un momento in cui l’umanesimo è in pericolo lei è per eccellenza il luogo della riflessione, dell’esperienza individuale e della libertà. il suo ruolo quindi è essere voce del presente, un’alternativa all’individualismo e all’indifferenza; è viva perchè la sua missione è quella di disegnare il mondo di domani!

Abbiamo iniziato la visita dal Padiglione Giapponese in cui incredibili strutture in legno affollavano lo spazio. Nella sua mostra Turned Upside Down, It’s a Forest di Takahiri Iwasaki, attraverso oggetti d’uso quotidiano, propone templi minuziosamente costruiti che si specchiano l’un l’altro e rimangono sospesi nell’aria, come a significare la necessità di un radicale cambio di prospettiva globale.

A seguire abbiamo visitato il Padiglione Coreano in cui l’artista Cody Choi con le sue opere ha voluto chiedersi come le storie personali si rapportino con quelle nazionali. Lui, artista di origine coreana immigrato negli stati uniti, nella sua posizione di mezzo tra le due nazioni le analizza e ne fa uno spaccato critico.

Una brutta fine invece l’ha fatta il Padiglione del Canada distrutto dall’artista Geoffrey Farmer che ha strutturato la sua esposizione su vicende ed emozioni personali.

 

Per la Gran Bretagna, l’artista Phyllida Barlow ha creato Folly, che in inglese significa sia decorazione architettonica stravagante che uno stato ebbrezza mentale. L’esterno e l’interno sono caratterizzato da rocce e strutture colorate e sgraziate che in qualche modo demistificano le seriose forme neoclassiche dell’edificio.

A seguire il Padiglione dell’Australia in cui queste foto sognanti di Tracey Moffatt fanno trasparire atmosfere a cavallo fra realtà e irrealtà, dove il dramma cinematografico si mischia alla vita quotidiana.

Qui una foto del padiglione della Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca in cui la Danza dei Cigni si presenta come uno spazio ispirato alla pop art.

La Russia ha dedicato il proprio Padiglione a Theatrum Orbis Terrarum, un famoso testo pubblicato nel 1570 considerato il primo vero atlante moderno in cui si racconta l’esperienza durante l’età delle scoperte. Il teatro diviene un palcoscenico dove si svolge l’azione in cui tutto accade, sia sotto le luci dei riflettori che al buio delle quinte, dove le figure in scena rappresentano numeri spaventosi.

Nella seconda parte dell’esposizione, nel piano basso, attraverso lo sviluppo di un dialogo concettuale con immagini del 9° girone dell’inferno della Divina Commedia di Dante, dedicato ai traditori, gli artisti Recycle Group visualizzano i “contenuti bloccati” come blocchi di ghiaccio in cui vi sono intrappolate persone che si svelano solo tramite un app in realtà virtuale.

Bellissimo il padiglione della Francia denominato: Padiglione musicale di Xavier Veilhan dove lo spazio è stato trasformato in una vera e propria sala da concerti in cui musicisti professionisti suonano per l’intera durata della Biennale; l’architettura è sfalsata e sembra che pareti e soffitti si scontrino fra di loro come suoni che si sviluppano in armonia.

 

Il Padiglione Italia è stato inteso come Padiglione degli Artisti e dei Libri, si attiene alla società contemporanea e si interroga sui suoi valori. Interessanti lavori di Katherine Nunez e Issay Rodriguez originarie delle Filippine, che esortano il ritorno alle arti manuali e presentano uno studio interamente composto da elementi in stoffa cucita.

Abdullah Al Saadi impara l’arte tradizionale giapponese nihonga e le sue opere, piccoli diari quotidiani composti da quasi 150 quaderni racchiudono aforismi, meditazioni, progetti artistici, schizzi e racconti.

 

Qui invece le opere di Ciprian Muresan, che riproduce opere di grandi maestri come Giotto, Tiepolo e Correggio a sovrappone dati visivi, questo per documentare gli squilibri della sua società, quella rumena e una sfiducia verso l’europeismo.

Qui altre foto del Padiglione Italia nella sua seconda parte quella di Padiglione delle Gioie e delle Paure, cioè nel rapporto che ha il soggetto con la propria esistenza, con le sue emozioni e con quelle che tenta di suscitare.

Qui il Padiglione dell’Ungheria dal titolo Peace on earth intende essere spunto di riflessione: in un mondo caratterizzato da conflitti, la pace sembra sempre più utopica e inaccessibile, nonostante questo, da un punto di vista storico, viviamo nel periodo più pacifico dell’umanità.

Molto cupo invece il Padiglione della Grecia, intitolato Laboratory of Dilemmas e incentrato sulla diatriba che nasce tra i migranti e i cittadini autoctoni, come se il tema fosse da trattare con la massima cautela in un laboratorio ipercontrollato.

Padiglione stranamente stravagante e divertente per l’Austria, abituata a serietà e rigore. Qui le opere di Erwin Wurm e Brigitte Kowanz, che creano sculture spaziali e architettoniche usando uomini, donne, oggetti e luci.

 

Eccoci di fronte alla Cascata di Colori di Ian Davenport per Swatch, sponsor storico della Biennale.

A lato giardini abbiamo trovato queste simpatiche tartarughe giganti della Repubblica delle Seychelles, 16 in totale, ciascuna realizzata da Allen Camille e personalizzate da 16 diversi artisti.

E le bellissime sculture giganti e iperrealiste di Carole A.Feuerman:

Interessante anche il padiglione esterno della Mongolia la cui opera Lost in Heaven unisce artisti che esplorano i problemi della società mongola contemporanea, alle prese con le religioni e tradizioni ma una nuova realtà economica di globalizzazione. Qui sotto la marcia di fucili-fenicotteri di I am a Bird di Chimeddorj Shagdarjav.

Qui sotto il Padiglione Andorra in Murmuri, ovvero il mormorio. Riflessione su di un liguaggio universale e approfondita ricerca su di un materiale in mutamento come la ceramica, sulle origini di forma e suono e sul significato della ciotola, come contenitore di verità e pace.

L’ultimo giorno è stato dedicato all’Arsenale diviso quest’anno in padiglioni tematici. Il Padiglione dello Spazio Comune inaugura il percorso di nove differenti episodi e riunisce artisti la cui opera si interroga sul collettivo, su come una comunità può superare l’individualismo. Qui le opere finemente tessute di Maria Lai, artista Sarda, che per anni ha alimentato l’immagine leggendaria della piccola Jana, fata benevola del folclore sardo, che tesse e impasta miti e ricordi sepolti nella memoria collettiva.
 

Qui sotto invece le opere di Lee Mingwei, artista Giapponese, che crea spesso installazioni e performance collaborative, qui nel suo The Mending Project l’artista si fa trovare seduto al tavolo e con rocchetti di filo colorato invita gli spettatori a farsi riparare i vestiti strappati.

A seguire il Padiglione della Terra che evoca utopie, constatazioni e sogni legati all’ambiente, al pianeta o ancora, al mondo animale. Qui sotto Charles Atlas, in Kiss the Day Goodbye mostra un conto alla rovescia che si contrappone a una parete di installazioni video che mostrano tramonti o panorami naturali.

The Play è un collettivo di artisti che crea e documenta in IE: The Play Have a House una zattera lasciata in balia dei capricci della corrente tra Kyoto e Osaka.

 

Julian Charrre ci porta invece pile e pile di litio, chiamato anche petrolio bianco, la fonte di vita delle nostre protuberanze digitali, ovvero, i cellulari.

Nel Padiglione delle Tradizioni si ritrova tutta la nostalgia verso i tempi antichi, per anni disfrattati, presumendoli migliori. Nato in una famiglia di artisti, Hao Liang, è affascinato dalla pittura tradizionale cinese. Qui espone le sue chine su seta tratte dal ciclo Eight Views of Xiaoxiang vedute paesaggistiche dell’universo e specchio dell’anima dell’artista.

Yee Sookyung, artista Coreana realizza sculture assemblando frammenti di vasi, come elementi piccoli ma ricchi densi di storia e per questo capaci di assumere nuovi significati in forme diverse.

Anri Sala originario di Tirana, nella sua installazione All of a Tremble ci mostra un carillon che suona una partitura e lo stesso motivo si ritrova nella carta da parati circostante, come se ciò che fosse mostrato fosse interpretato musicalmente da questo macchinario.

Il Padiglione degli Sciamani si apre con l’opera di Ernesto Neto, una struttura che si ispira alla forma della Cupixawa, in cui è possibile entrare fisicamente e rappresenta un luogo di socializzazione in cui gli Indios praticano cerimonie spirituali e svolgono incontri politici.

 

Qui invece il realismo fantastico di Rina Banerjee in Excessive Flowers, in cui oggetti tratti dalla realtà vengono combinati per dare vita a totem ibridi con riferimenti visionari e figure mitologiche.

Il Padiglione Dionisiaco è invece legato alla sessualità, alla gioia, al senso dell’umorismo ma anche ai pensieri personali. Qui l’opera di un’artista Saudita, Maha Malluh, nella cui parete di audiocassette si ritrovano discorsi legati a come si devono comportare le donne nella religione e qui l’interrogarsi dell’artista sul posto riservato alla donna nell’Arabia Saudita.

 

Il Padiglione dei Colori introduce il significato stesso del colore, che per se non esiste, ma è il risultato di un processo neuronale nel quale l’occhio decodifica la realtà. Questa sembra dunque esere la fonte di un’emozione particolarmente soggettiva. Prima opera la grande tela di Abdoulye Konaté, artista Brasiliano, in cui l’indaco fa da padrone e piccoli oggetti ornamentali vengono trasformati in piccoli amuleti.

Sheila Hicks scopre l’antica arte della tessitura in sudamerica e studia e teorizza la percezione del colore. Qui presenta le sue balle di pura fibra pigmentata che sembrano invitare al riposo e alla scoperta tattile.

La pittura di Giorgio Griffa si presenta come una sfida verso l’ignoto , in dialogo costante con le diverse forme di sapere scientifico.

E per finire il Padiglione del Tempo e dell’Infinito. Il tempo nel suo fluire di mutazioni incessanti che sfocia nella morte, ma anche futuro già iscritto nel presente o infinito sognato. Liliana Porter, artista Argentina, nella sua piccola micro installazione fa distruggere ad un omino con un ascia tantissimi oggetti; metafora del tempo che passa e dei ricordi fissati nella nostra memoria

Liu Jianhua, artista cinese, nella sua opera Square crea grandi goccie di ceramica dorata sembra si fondano in lastre di metallo nero; viene quasi stravolto così il concetto di materialità.

Qui Bernardo Oyarzun e la sua foresta di maschere Mapuche, per il Padiglione del Cile, dove sembra che, l’intero popolo di indigeni Cileni, appaia dal buio dove la storia lo ha relegato.

Divertente il padiglione della Nuova Zelanda in cui un video dei toni ironici di Lisa Reihana racconta di finzione, storia mitologica per stravolgere la verità di un popolo.

Interessante anche il padiglione della Repubblica Popolare Cinese che si approccia al concetto di eternità e lo visualizza attraverso la lunga storia delle tradizioni culturali cinesi. La missione degli artisti e catturare l’energia Bu Xi (cioè senza mai riposo o anche continuazione) che trasmettere attraverso la narrazione.

     

Ed ecco qui l’opera di Alicja Kwade, un continuum spazio temporale in cui sculture “planetarie” sono destinate a creare un nuovo ordine metafisico.

Per finire posso dire che come ogni anno la Biennale di Venezia ha dato tante soddisfazioni e alcune opere hanno davvero suscitato emozioni e dato spunti creativi. Il pro di aver pubblicato questo articolo così tardi è che, tra pochi giorni, visiteremo la nuova Biennale, la 58° e avendo fatto il sunto di quello che è stato presentato due anni fa possiamo avere una memoria più lucida nella visione di questa nuova edizione. Speriamo di avere giornate splendide come queste, perchè già Venezia è una cornice fantastica per qualsiasi cosa, ma con il sole e il bel tempo gironzolare e macinare chilometri è davvero un piacere!

E chiudo così, con questa foto dell’esterno della mostra di Damien Hirst a palazzo Grassi che non siamo riuscite a vedere…che peccato!

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Alice Tebaldi

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